5 apr 2013

LO "SCULTORE DELLA TERRA"

 continua da  corso "Scultore della Terra"   www.evoluzionedelcuore.com

La donna e l'agricoltura.

Esiste un antico e profondo legame tra la donna e l’attività agricola.    La
mistica solidarietà tra la forza generatrice della donna e la fecondità della
terra viene definita dallo storico delle religioni Mircea Eliade una «intuizione
fondamentale di quel che potremmo chiamare coscienza agricola».
Numerosi i riti scaturiti da questa concezione.
L’idea è che  “la terra è una donna, e la donna è una terra”.   A motivo della sua fecondità, la donna riesce ad influire
positivamente sulla vegetazione. Si praticava l’aspersione con l’acqua dell’aratro in
occasione della prima lavorazione del terreno. L’acqua in questo caso ha
valore simbolico riferito sia alla pioggia che all’aspetto seminale.
L’agricoltura tradizionale valorizza sotto l’aspetto simbolico la funzione
dei due sessi, il maschio per via della funzione fecondante, la femmina
perché associata alla zolla che riceve il seme.

Le offerte agrarie

La donna, la fertilità, l’erotismo, la nudità, sono considerati centri di energia sacra.   Quindi, la pratica agricola,
al pari delle cerimonie religiose, necessita di una purità rituale per dare inizio alle più importanti operazioni come la semina e la mietitura: infatti
in queste occasioni il contadino si lavava e metteva la camicia pulita.   Per assicurarsi un copioso raccolto occorre “aggraziarsi” diverse
forze sacre l’uso di gettare i primi chicchi di grano fuori dal solco è l’offerta per i morti, per i
venti, per la “dea del grano” ecc., così come alla mietitura, l’uso di non
raccogliere le prime spighe che vengono lasciate per gli uccelli, o gli angeli,
o le “tre vergini”, o la “Madre del grano”.

 

La “forza” del raccolto

Il raccolto viene ritenuto la manifestazione di una “potenza” concepita
a volte in modo impersonale .       Le cerimonie più o meno complesse servono a
instaurare relazioni favorevoli tra l’uomo e le forze, ma anche far sì che
queste ultime possano periodicamente rigenerarsi.    A tal fine è diffusa
l’usanza di non falciare le ultime spighe a beneficio di “quelli che abitano
sottoterra”.
Nella stessa direzione, cioè quella di non far esaurire la forza vivificatrice del raccolto, vi è l’abitudine di non
prelevare dall’albero gli ultimi frutti, di non svuotare completamente il
granaio, di restituire qualche goccia d’acqua al pozzo dopo il prelievo per
evitare che possa disseccarsi, oppure di non tosare perfettamente le pecore,
lasciando qualche ciuffo di lana.       Le spighe non falciate conservano la
vitalità della terra e della vegetazione secondo la concezione che la
“potenza” possa indebolirsi, senza però esaurirsi completamente.     Molto
diffuso e particolarmente interessante il rituale del taglio del primo o dell’ultimo
covone del campo, in quel mucchio di spighe, come nelle poche  spighe di cui sopra c’è la massima concentrazione della forza della vegetazione.

Le credenze e le usanze fin qui riportate si rifanno ad una concezione
del raccolto come potenza, come forza sacra, quindi senza la trasfigurazione
in personaggio mitico.
Ma occorre ricordare che esistono altri rituali diretti ad una potenza personificata. Fino ad un secolo fa la stragrande maggioranza dei contadini d’Europa credeva che il grano fosse abitato da uno spirito. Diversi i nomi attribuiti a quest’ultimo: “Madre del grano”, “Santa Vergine”, “Madre della spiga”, “Madre del raccolto”, “Vecchia prostituta”, “Vecchio” o “Vecchia”, “Barba”, “Barba del redentore”,
“S. Elia”, “S. Nicola”.

I riti del granaio

Dobbiamo ricordare ora le cerimonie con le quali si perviene alla chiusura
del ciclo dei lavori agricoli, cioè le usanze che accompagnano la sistemazione
del raccolto nel deposito.
L’operazione di sistemazione del grano prevede a volte il lancio dietro
la spalla sinistra di una manciata di grano, accompagnata dall’esclamazione:
“questo per i topi”. La scelta della spalla sinistra denota una chiara
connotazione funebre dell’offerta. Spesso troviamo
l’usanza di portare pane e vino nei granai con l’intento di rabbonire “lo
spirito della casa”.
Al termine dell’anno agricolo il ciclo
viene chiuso con una grande festa collettiva che si tiene nel giorno di
S. Michele Arcangelo e prevede un banchetto, danze e offerte ai diversi
spiriti.
I numerosi elementi agrari che caratterizzano le feste invernali devono
essere visti come la fusione fra i culti legati alla fertilità con quelli funebri.
Ai morti è affidata la tutela delle sementi nel momento del loro ingresso
nei solchi, ma al contempo ricadono sotto la loro protezione anche i raccolti
conservati nei granai, alimento dei vivi nella stagione invernale.

(Elena Gennai )    (rif.bibliografico M.Eliade "L'agricoltura sacra")

1 apr 2013

ECCOMI, TI ASCOLTO!

Il COUNSELING

Lo Spazio di un Incontro

di Sara Bini  Professional Counselor 

www.evoluzionedelcuore.com

 

Mi piace molto la storia etimologica della parola counseling. Viene dal verbo latino        consulo-ĕre - traducibile in "consolare", "confortare", "venire in aiuto”-  che a sua si compone della particella cum ("con", "insieme") e solĕre ("alzare", "sollevare").              Quindi ‘sollevarsi insieme’ sia letteralmente come atto, che nell'accezione di "aiuto a sollevarsi".
Chi, almeno una volta, non si è sentito ‘atterrato’ dalla vita, sopraffatto dalle circostanze, alla ricerca di una mano tesa in segno di aiuto? Parlo di persone ‘normali’,  con vite più o meno funzionanti che a un certo punto s’imbattono in una crisi, in un cambiamento inaspettato, in una domanda di senso.
Il counseling ha un ampio raggio di applicazione.  In linea generale,  si può dire che si occupa del quotidiano, di come affrontare la vita e i problemi di ogni giorno con più saggezza e più serenità, con nuovi strumenti o più semplicemente con nuovi occhi.  La mia counselor, durante il mio percorso con lei, diceva  ‘Il counseling è un tipo di riflessione che ammorbidisce la spigolosità del quotidiano e aiuta a condividere quelle domande o quei discorsi che altrimenti ci faremmo da soli in camera o davanti a un muro”.
Il counselor può quindi sostenerci riguardo a un problema concreto (mancanza di lavoro, separazione da un partner, difficoltà a prendere una decisione) intervenendo con delicatezza su  quegli aspetti un po’ infelici o inefficaci della nostra comunicazione, interna ed esterna. A volte basta semplicemente aprire lo spiraglio a una visione e a una percezione diversa della realtà per rimettere in moto la nostra vita, per farla diventare più fluida, gioiosa, fragrante.
Questa operazione allo stesso tempo così delicata e meravigliosa richiede uno spazio e un tempo protetti, salvaguardati dal fragore e dalla frenesia della vita odierna. Per cui lo studio del counselor e il tempo dell’incontro diventano manifestazione tangibile di quello spazio interiore che pian piano impariamo ad aprire in noi stessi: uno spazio di silenzio, pace e rielaborazione del proprio vissuto. E’ lo spazio ‘sacro’ che ci permette di crescere, di porsi delle domande e lasciar affiorare le proprie risposte; è il laboratorio personale in cui trovare soluzioni, strategie alternative,  contattare nuovi sentimenti e nuovi  pensieri.
In un momento storico caratterizzato dallo sgretolarsi delle vecchie certezze, da un isolamento crescente, dall’ottundimento e dal mascheramento delle relazioni, forse diventa vitale recuperare un po’ di sana umanità, reimparando l’arte dell’incontro con sé stessi e con la vita che ci circonda.